Siamo in pieno autunno e le ore di luce durante il giorno sono via via in calo, ma bastano per rallegrarsi la vista con le sfumature di così tanti colori tenui e espressivi. Nei boschi, nei campi, nei pascoli e naturalmente nel selvatico delle brulle colline molisane, ovunque si pone lo sguardo si rimane incantati dalla fantasia del creato. Proprio nei boschi ora abbiamo i ciclamini selvatici, colorando con un viola acceso che risalta più di ogni altro fiore, proprio lì, fra il verde e bruno del sottobosco. Naturalmente questo e’ anche il momento dei funghi, che nonostante le scarse piogge durante l’estate, sono ugualmente spuntati e in gran numero, decine di specie una diversa dall’altra. Nella tradizione del posto e’ consuetudine consumare poche di queste specie, non vi e’ una conoscenza avanzata di questo incredibile regno, quello dei funghi appunto. Coloro che in questi giorni si recano nei boschi alla ricerca dei funghi, si limitano a prendere due o tre specie. In primis i porcini(Porcino) ma anche i galletti (Cantharellus cibarius), e l’immancabile ovulo buono (Amanita caesarea). Da non confondere con le altre amanite che sono tossiche e velenose.
Continuando a passeggiare si arriva nei campi seminati da pochi giorni, dove i cereali sono germogliati, il miracolo dell’apertura del seme e’ avvenuto ancora una volta, le prime foglioline primordiali non sono ancora apparse, tuttavia se si osserva da vicino quello che sta avvenendo sul terreno, ci si accorge che il seme ha emesso le prime radici che cominciano ad arpionarsi alla terra, tra qualche giorno saranno delle graziose piantine di cereali.
Curiosamente, la mia vista cade proprio in un punto dove tra il bruno della terra si distingue un cerchio di circa dieci centimetri di color oro, mi avvicino e mi accorgo che si tratta di semi d’orzo e al centro di questo strano cerchio vi e’ un buco. E’ proprio un formicaio e le nostre simpatiche formiche che abitano nella città sottostante hanno rastrellato quello che potevano dal campo, ma i semi che si trovano all’ingresso della loro casa non sono stati portati in tempo nelle cavità della terra e così hanno germogliato in cerchio proprio davanti al formicaio. Certamente ad un primo impatto verrebbe da dire, ” che ladre furbe queste formiche”, tuttavia ogni contadino sa che il surplus viene in ogni caso distribuito fra le forze della natura e la saggezza derivata dall’esperienza ha stabilito che bisogna seminare un po di più del necessario per aggirare le perdenze derivate dall’attività degli insetti, degli uccelli, dei roditori, ma anche dei semi che in ogni caso non germineranno. Una nota positiva derivante dall’attività delle formiche vi è comunque ed e’ sicuramente quella della qualità del seme, infatti non essendo trattato in nessun modo, fa gola dunque alle nostre amiche buongustaie.
Questo e’ anche il momento della raccolta delle erbe spontanee d’autunno. I campi che lasciamo a maggese sono pieni di diverse varietà di cicorie edibili, ognuna con le sue peculiarità di gusto e salute. Le erbe spontanee d’autunno, così come le erbe spontanee di primavera, sono equiparabili a medicine benefiche di alto valore.
Personalmente non sono ancora arrivato alla conoscenza alimurgica che mi permetta di poter fare affidamento su tante piante spontanee autunnali e primaverili. La mia ricerca si adegua, per ora, ad un semplice recupero delle informazioni preziose dei contadini del Molise. Essi non avevano una conoscenza avanzata delle piante edibili del loro territorio e in ogni caso, tali conoscenze si basano su una trasmissione orale avvenuta nel corso dei secoli, da generazione in generazione. Tuttavia e’ sufficiente per iniziare il lavoro di censimento di tali piante. Al recupero delle informazioni storiche dei contadini locali, può essere associato lo studio svolto dalla botanica e dalle scienze alimurgiche del mediterraneo. La prudenza e la certezza del proprio operato sono d’importanza vitale, in quanto laddove vi sono piante edibili, vi saranno anche piante tossiche per l’uomo e dunque e’ vivamente consigliato non improvvisare. La mia speranza e’ quella di poter contare su informazioni inconfutabili e sicure, tali da poter essere messe facilmente a disposizione di chi ne faccia richiesta in futuro. Queste piante alimurgiche sono squisite e la gratificazione sia nel raccolto che nel consumo, dovrebbero essere di patrimonio comune di una civiltà.
Confido di avere delle difficoltà a definire cosa sia più gratificante tra un piatto di cibo selvatico e uno di cibo domestico. Pare proprio che siano complementari, sono due forme di approvvigionamento che l’uomo utilizza contemporaneamente fin dagli inizi del neolitico, quando scoprì l’agricoltura.
Entrambi i canali hanno difetti e virtù. Il cibo selvatico, ad esempio non viene ne seminato, ne allevato, l’unica cosa che bisogna fare e’ recarsi nei campi a raccoglierlo quando c’è e dove c’è. Le piante sono più piccole di dimensioni rispetto alle piante domestiche, tuttavia questo non vuol dire che sono meno nutrienti, anzi e’ vero l’opposto. Il cibo domestico pero’ e’ più controllabile, si può fare maggiore affidamento su di esso, rispetto al cibo selvatico, infatti può essere allevato nelle immediate vicinanze della propria dimora, senza dover fare lunghe passeggiate nel selvatico alla ricerca di piante o animali. Osservando la sfera domestica della nostra vita, pare come se l’uomo avesse voluto creare un habitat all’interno di un altro habitat, quello selvatico naturalmente. Ad un certo punto della nostra lunga storia, l’orto, il giardino, il rifugio per svariati animali che via via ha addomesticato, sono diventate fonti di cibo di una certa rilevanza, tale da permettere la nascita di nuove forme sociali, fino ad arrivare ai giorni nostri. Ogni pianta e animale domestico, una volta era un essere libero e indipendente dall’uomo e aveva la conoscenza per poter vivere nel regno selvatico. Addomesticare vuol dire dominare e dominare vuol dire creare un doppio legame di interdipendenza tra chi domina e chi viene dominato. Un pomodoro così come un coniglio, difficilmente riuscirebbero a sopravvivere qualora l’uomo li abbandonasse di nuovo nel selvatico. Allo stesso tempo la nostra specie e’ dipendente dal pomodoro e dal coniglio. Non ha più la capacita’ e la volontà di procacciarsi esclusivamente cibo selvatico. Un legame di interdipendenza dunque, l’uomo dominante ha bisogno del pomodoro e il pomodoro dominato ha bisogno dell’uomo.