Il Grano: la solarità perduta


Il grano: la solarità perduta e l’aumento
delle allergie e delle intolleranze alimentari.

Due disturbi legati al consumo di grano, l’allergia e la celiachia, affliggono sempre più persone. Molta gente inoltre, pur non essendo allergica o celiaca, lamenta disturbi intestinali, come difficoltà digestive, gonfiori e coliche, quando consumo prodotti con farina di grano. C’è da chiedersi come mai un alimento che ha nutrito l’uomo fin dalle sue origini e al quale l’umanità ha sempre attribuito un alto valore spirituale e simbolico (si pensi all’ostia fatta di farina che nel rito dell’eucarestia rappresenta il corpo di Cristo), stia diventando così poco tollerato. E ancora, perché tra i vari costituenti della farina e’ il glutine a destare maggiore preoccupazione? Gli scienziati non hanno ancora dato una risposta a tali quesiti. Io proverò a farlo ripercorrendo la storia del cosiddetto “miglioramento” genetico del grano che e’ stato effettuato negli ultimi cento anni.

La solarità del grano.
Di una persona dal viso luminoso e dall’animo buono, si dice che e’ solare. Altrettanto possiamo dire di certe piante che mostrano una speciale relazione col sole. Il grano e’ una di queste, anzi di tutte e’ la più solare. Ci sono tanti elementi per apprezzare questa qualità. In primo luogo il suo portamento, che si può cogliere facendosi ispirare dal suggestivo quadro di Van Gogh. Sullo sfondo, i culmi maturi di grano di un acceso colore giallo-oro che si ergono dritti verso il cielo, confondendosi con i raggi del sole. In primo piano la terra nuda, il cui colore viola sta a significare che aspetta di essere vivificata dalle sementi, un prodotto del sole, che il seminatore sta spargendo.
C’è poi la luminosità dei campi di grano inondati dal sole in primavera che e’ dovuta al manto di silice che avvolge le piante. Secondo alcuni scienziati, nel grano la silice convoglierebbe la luce solare sui tessuti interni della pianta che hanno il compito di operare la fotosintesi clorofilliana.

La silice.
La sostanza che cristallizza nelle luccicanti forme esagonali di quarzo, ha un’elevata capacita’ di trasmettere le radiazioni visibili della luce, quelle che incantano con i sette colori dell’arcobaleno. Per questa sua proprietà e’ impiegata nelle fibre ottiche di cui sono dotate tante apparecchiature moderne, compresi i collettori solari. E’ anche un componente fondamentale dell’occhio.

La fotosintesi e’ un processo prodigioso mediante il quale le piante utilizzano l’energia solare per produrre l’amido, il carboidrato fondamentale della nostra alimentazione, utilizzando come materia prima l’anidride carbonica e l’acqua. L’amido può essere visto, quindi, come luce solare condensata. Quando lo assumiamo prodotti a base di farina, e’ come se portassimo dentro di noi delle scintille di sole.
Nel nostro organismo l’amido, diventato glucosio, brucia senza lasciare scorie e la luce solare che si libera dalla sua combustione, sotto forma di energia chimica, muove il nostro organismo. Il cervello, l’organo del pensiero, e’ quello che ha maggiore bisogno del glucosio. Non e’ un caso allora che il termine “riflessione” si usa sia per la luce che per il pensare e chi ha sagge idee venga definito illuminato o lucido. Ebbene, il grano – e questa e’ un altra nota della sua solarità – e’ la pianta dispensatrice di amido per eccellenza.
I chicchi arrivano a contenere quasi il 70% di amido, una quantità enorme se si pensa che quella dei legumi e patate e intorno al 20%.
Tutte le piante trasformano in proteine una quota dell’amido sintetizzato utilizzando l’azoto minerale che assorbono dal terreno sotto forma di nitrati. Non e’ nella natura del grano strafare in questo lavoro, attitudine che e’ invece marcata nelle leguminose. Infatti, in molte delle varietà di grano in cui i genetisti non hanno messo mano, quelle che definiamo antiche, il tenore totale di proteine e’ basso, intorno al 10%, la meta’ di quello dei legumi.

Il lavoro dei genetisti moderni e la perdita della solarità.
Il lavoro dei genetisti negli ultimi 100 anni ha permesso di aumentare la produzione del grano e di sfamare la gente. L’intento era nobile ma la modalità scelta per raggiungerlo e’ criticabile per certi aspetti. Si e’ pensato a spingere la produttività alle stelle anche a costo di compromettere la qualità che sta a cuore al consumatore (sapore, assenza di pesticidi, contenuto in sostanze salutari e digeribilità). Non considerando che il grano e’ per sua natura parco nell’assorbimento dell’azoto minerale dal terreno, sono stati prodotti incroci che danno rese smisurate (anche 80 quintali/ettaro, a fronte dei 20 di fine ottocento) sotto la spinta di concimazioni con nitrati.
Ma poiché il grano in queste condizioni alletta (cioè si flette verso il suolo), i genetisti, nel tentativo di evitare che ciò accadesse, hanno pensato anche di abbassare la taglia dei suoi culmi. Le antiche varietà di grano superavano il metro e mezzo, le più moderne arrivano stentatamente ad un metro.
Forzatura con concimazioni con nitrati e riduzione della taglia sono due oltraggi alla natura solare del grano. Per arrivare a tanti i genetisti non si sono accontentati di produrre ibridi incrociando tra loro varietà diverse, ma hanno addirittura trattato le piante (della nobile varietà Senatore Cappelli) con radiazioni nucleari. Così pare sia nato il Creso, che ha fatto da genitore a gran parte delle varietà di grano duro oggi coltivate. Inoltre sono già pronte varietà di grano modificate geneticamente, tra cui una nella quale e’ stata alterata la composizione qualitativa dell’amido per rallentare il raffermamento del pane che, quando prodotto industrialmente, rimane morbido solo per qualche ora.
Il lavoro fatto dai genetisti e le concimazioni spinte con nitrati permettono anche di ottenere farine ricche di glutine. Ciò conviene all’industria alimentare perché si semplificano e si accelerano i processi di produzione del pane (addirittura oggi per la panificazione si usano farine addizionate di glutine) e della pasta.
Lo stesso non si può dire per il consumatore che, invece, vorrebbe prodotti ottenuti utilizzando farine pregiate e processi di lavorazione che non mortifichino la qualità.

L’aumento dei disturbi connessi al consumo di grano.

Alcuni componenti del glutine appartenenti alle gliadine sono responsabili della celiachia, (un tempo si chiamava “intolleranza al glutine”), un disturbo che colpisce soltanto le persone predisposte. Le gliadine, e in misura minore le glutenine, contengono la maggior parte delle proteine responsabili dell’allergia alimentare del grano.

Il glutine e’ anche difficile da digerire e questo spiegherebbe l’insorgenza dei disturbi di cui si lamentano molte persone dopo aver mangiato prodotti a base di farina (la cosiddetta intolleranza al grano).
Va sottolineato che l’aumento della quantità di glutine conseguito con il lavoro fatto dai genetisti moderni e con le pratiche colturali correnti e’ a carico soprattutto delle temibili gliadine.

Il biologico e il biodinamico in controtendenza.
Il lavoro di “miglioramento” genetico del grano finora svolto, (che ai suoi primordi in epoca fascista fu enfaticamente definito “la battaglia del grano”) ha si permesso di aumentare enormemente le rese, ma ha purtroppo lasciato sul campo tante vittime: migliaia di varietà rustiche e adattabili a bassi livelli azotati scomparse, contadini costretti a comprare sementi dalle industrie (che attualmente offrono, di fatto, non più di 5-6 varietà, alla faccia della biodiversità), terre marginali abbandonate, prodotti di qualità scadente… E le tante persone che oggi hanno paura di sentirsi male mangiando prodotti a base di grano.
Ai consumatori desiderosi di riconciliarsi con il grano e di godere delle sue virtù, resta oggi un’opportunità: ricorrere al consumo di varietà di grano e di specie affini che sono state poco o per nulla manipolate dai genetisti moderni, come il farro (soprattutto il dicocco e il prezioso monococco), il kamut, varietà come il Senatore Cappelli, selezionato all’inizio del secolo scorso prima che i genetisti fossero presi dalla frenesia di fare incroci. Questi cereali sono ottenuti ricorrendo al metodo biologico o a quello biodinamico, ovvero a metodi che non oltraggiano la solarità del grano con le concimazioni azotate di sintesi e con terribili trattamenti  di pesticidi praticati dall’agricoltura industriale. E’ vero le rese sono più basse (mediamente del 30%), ma la qualità e’ superiore. Lo sanno bene i fornai, quando panificano con le buone farine biologiche o con farine biodinamiche, e i consumatori, e i consumatori quando addentano un pane ben lievitato fatto con queste farine. All’agricoltura biologica e biodinamica spetta ora il compito di individuare e selezionare varietà di grano che rispondano con rese più soddisfacenti ai metodi agronomici che esse impiegano

Matteo Giannattasio, medico e agronomo, e’ professore di biochimica all’Università’ di Padova.

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